“Nonostante tutto, a Rafah volano ancora gli aquiloni, mentre le bombe cadono dal cielo e le cicatrici del cuore si fondono con quelle sulla pelle. […] Un uomo per settimane ha costruito stampelle di legno per dare un aiuto alla propria gente: c’è ancora tanta unione e compassione tra queste persone accomunate dallo stesso dolore intergenerazionale, dagli stessi traumi e dalla medesima resilienza”, quella resilienza che i palestinesi dimostrano erigendo le loro tende su cumuli di macerie, laddove fino a un anno e mezzo fa sorgevano le loro case.
Con queste parole, nella mattina di mercoledì 19 marzo, Martina Marchiò – infermiera di Medici Senza Frontiere che ha operato come coordinatrice dei soccorsi tra Rafah e la zona centrale della striscia di Gaza nei mesi di aprile e maggio 2024 – ha incontrato le classi quinte della sede di Cuorgnè. Come aveva promesso ai suoi colleghi palestinesi prima di ripartire, ha narrato la sua esperienza nel libro Brucia anche l’umanità, per Infinito Edizioni, che alcuni studenti hanno avuto il desiderio di leggere nelle settimane precedenti l’incontro.
Dopo una breve sintesi degli eventi storici che hanno portato all’attuale situazione nella striscia, Martina ha rotto il ghiaccio con i ragazzi con un esercizio interattivo per richiamare l’attenzione sulle principali norme internazionali a tutela dei civili in zone di guerra e la loro ripetuta violazione nella realtà di Gaza.
È passata poi al racconto della sua testimonianza dal campo, illustrando le difficoltà nell’organizzazione dei soccorsi dovute alla mancanza di acqua potabile, cibo e alla carenza di materiale medico per soccorrere i feriti; il dramma materiale dei civili chiusi nella enclave, costretti a continui esodi da un capo all’altro della striscia; la perdita delle proprie abitazioni, degli oggetti della quotidianità, in altre parole di un posto da poter chiamare “casa”; il dramma umano di chi ha perso tutta o parte della propria famiglia, a cui non ha potuto dare nemmeno una degna sepoltura.
Martina ha ricordato soprattutto come il prezzo più alto di questa guerra lo stiano pagando i bambini: quasi la metà dei due milioni di palestinesi è infatti costituita da minori, vittime di una spirale di odio e di violenza senza precedenti nella striscia. Ha ricordato che ogni giorno almeno 10 bambini subiscono mutilazioni agli arti a causa dei bombardamenti o delle mine inesplose, moltissimi sono gli orfani costretti a subire interventi chirurgici senza anestesia e senza neppure il conforto di un famigliare accanto a loro. L’infanzia negata ha il volto dei bambini che arrivano scioccati e tremanti come foglie nei pochi ospedali
parzialmente funzionanti, che non conoscono altri suoni se non quello dei droni, dei missili e delle esplosioni, riportando traumi psichici, oltre che fisici, indelebili e che, in alcuni casi, hanno come unico desiderio quello di morire per ricongiungersi ai propri cari.
Infanzia negata è anche quella dei minori che non hanno più diritto all’istruzione – perché oltre l’80% delle scuole sono distrutte – e quindi alla socializzazione con i coetanei. Eppure, ha raccontato Martina, alcuni di loro ancora riescono a sorridere e a far volare in alto gli aquiloni, costruiti con materiali di fortuna.
La testimonianza di questa coraggiosa infermiera, che ha vissuto un non facile ritorno alla normalità, accompagnato dal senso di colpa per chi è rimasto là e da incubi ricorrenti, è stato seguito da un ampio spazio offerto ai ragazzi per interventi con domande e considerazioni, alla luce di quanto ascoltato.
Per gli studenti è stata un’importante occasione di confronto tra la propria realtà quotidiana e quella di tanti coetanei che vivono in una terra sconvolta dalla guerra, un’occasione di riflessione sui diritti umani violati e sul senso di umanità che, come afferma Martina nel suo libro-testimonianza, in quella terra e in altre parti del mondo, brucia insieme a tutto il resto, ridotto in cenere dalle bombe, ma spesso anche dall’indifferenza generale.
“L’umanità che brucia – scrive Martina – ci ricorda l’importanza di restare umani, di ritrovare uno sguardo empatico verso il prossimo e di riscoprire ancora una volta il sentimento della compassione”
Raccogliendo il suo invito a continuare a parlare di Gaza, a dare voce a chi non ce l’ha, i ragazzi hanno dato forma scritta ai propri pensieri. Eccone alcuni.
“Inizialmente Martina ci ha fatto fare un gioco che consisteva nel fare un passo avanti, se la nostra risposta era sì, o rimanere sul posto, se era no, dopo aver ascoltato le sue affermazioni relative a ciò che si può o non si può fare in un contesto di guerra, stando ai trattati internazionali. Mi sono resa conto che, purtroppo, tutto quello che secondo le convenzioni internazionali non si potrebbe fare, i palestinesi lo subiscono ugualmente, come per esempio:
-aerei militari che volano a bassa quota per terrorizzare la popolazione;
-bombardamento di ospedali e di ambulanze;
-blocco degli aiuti umanitari con chiusura dei valichi.
Un fatto che Martina ha raccontato, e che mi ha fatto davvero male, è quando gli infermieri scrivevano la parola “sconosciuto” sui sacchi bianchi delle persone morte, perché ormai erano irriconoscibili. Fa tanto male sentirlo, perché il nome dà dignità alla persona ed essere ridotti ad un sacco bianco con la scritta “sconosciuto” non è accettabile. Secondo Martina raccontare può salvare delle vite, a volte, ed è arrivato il momento di alzare la voce, di smetterla di girare la testa dall’altra parte, per guardare invece chi sta soffrendo. Il mio cuore è con il popolo palestinese” (Asma Chariq)
“Ringrazio Martina per l’incontro molto interessante. La ringrazio per aver portato nella mia scuola la realtà che circonda il nostro mondo, la ringrazio per aver fatto chiarezza su uno dei conflitti che esiste ormai da anni, e soprattutto le sono grata per aver raccontato in maniera concreta fatti accaduti realmente. Mi ha colpito molto il suo coraggio nel prendere una delle decisioni più difficili durante i suoi anni di lavoro in “Medici senza frontiere”. Non deve essere stato facile lasciare tutto e tutti per recarsi in una zona di guerra. Mi ha colpito anche l’amicizia che ha creato con Sohaib; credo che l’amicizia in una situazione come questa, sia di grande aiuto e di fondamentale importanza.” (Sara Ferrero)
“Personalmente l’incontro mi ha lasciato una sensazione di incredulità per la situazione descritta, ma anche un profondo rispetto per Martina che, facendosi coraggio, è riuscita a fare una cosa che pochissimi al mondo riuscirebbero a fare, ossia stare accanto ad una popolazione nel corso di un feroce conflitto. Inoltre, ascoltando la sua esperienza, mi sono reso conto di quanto il coraggio umano possa essere straordinario, eppure così fragile di fronte alla brutalità della guerra. Quello che mi ha colpito di più è stata la sua capacità di raccontare, con una serenità che sembrava incredibile, come se avesse visto non solo la sofferenza e la paura, ma anche la solidarietà. Il suo sguardo rifletteva un dolore che non si può spiegare con le parole, ma anche una determinazione a non arrendersi mai. Non è facile pensare che qualcuno possa affrontare una realtà così cruda e continuare a credere nella propria missione di soccorrere gli altri, nonostante tutto. La sua storia mi ha fatto riflettere sulla fragilità della vita e sull’importanza di non dare mai per scontato ciò che abbiamo, di non dimenticare mai che, anche nei momenti più bui, ci sono persone che continuano a lottare per la speranza.” (Marco Perotti)